Con la risposta a interpello n. 249 del 18 settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito il trattamento fiscale delle polizze sanitarie collettive stipulate dai datori di lavoro a favore dei dipendenti.
Il caso riguardava un ente pubblico che, per il personale di ruolo, ha sottoscritto una copertura sanitaria (malattia, infortunio, maternità) con premio interamente a proprio carico. Per i dipendenti in Italia, l’estensione della polizza al nucleo familiare è facoltativa e a carico del lavoratore, mentre per quelli in servizio all’estero è prevista l’estensione ai familiari conviventi a carico, qualora nel Paese non sia disponibile assistenza diretta.
Secondo l’ente, trattandosi di copertura resa “obbligatoria” da specifiche norme per il personale all’estero, il premio non avrebbe dovuto concorrere al reddito imponibile, qualificandosi come contributo previdenziale o assistenziale obbligatorio ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. a) del TUIR.
L’Agenzia ha respinto tale interpretazione. Richiamando il principio di onnicomprensività previsto dall’art. 51, comma 1, TUIR, ha ribadito che tutti i compensi, in denaro o natura, percepiti dal dipendente concorrono al reddito, salvo specifiche eccezioni. La deroga relativa ai “contributi previdenziali e assistenziali obbligatori per legge” non è applicabile, poiché la polizza sanitaria aziendale non ha finalità assistenziali in senso stretto né integra un contributo previdenziale tipizzato.
Pertanto, i premi delle polizze sanitarie – anche se previsti per il personale in servizio in Stati privi di assistenza diretta – devono essere considerati imponibili, con i conseguenti riflessi fiscali e contributivi in busta paga.
Operativamente, gli enti e i datori di lavoro che sostengono tali costi devono assoggettare a tassazione gli importi corrisposti, distinguendo la gestione interna: in Italia l’eventuale estensione ai familiari rimane a carico del dipendente; all’estero l’ente copre anche i familiari conviventi, ma il relativo premio resta fiscalmente rilevante in capo al lavoratore.
Il parere, precisa l’Agenzia, è reso “allo stato degli atti”, cioè sulla base delle informazioni fornite dall’istante e nel presupposto della loro correttezza.