Negli ultimi anni la Corte di Cassazione ha definitivamente chiarito che l’utilizzo delle perdite fiscali pregresse è una facoltà del contribuente, non un obbligo. Le perdite possono essere portate in diminuzione del reddito degli anni successivi entro il limite dell’80% del reddito imponibile (salvo quelle dei primi tre esercizi di una nuova attività produttiva, utilizzabili senza limite). Dopo la riforma del 2011, il riporto delle perdite non ha più scadenza.
Poiché l’articolo 84 del TUIR riconosce una libertà di scelta, il contribuente può decidere se e quando utilizzare le perdite disponibili, anche evitando di usarle nel primo anno utile per sfruttarle in anni futuri più vantaggiosi. La Cassazione ha infatti stabilito che la decisione di scomputare una perdita non è un dato tecnico modificabile liberamente (“dichiarazione di scienza”), ma una manifestazione di volontà che segue le regole civilistiche sui vizi del consenso.
Le perdite disponibili derivano semplicemente dalla somma delle perdite maturate negli anni precedenti al netto di quelle già utilizzate, secondo la sequenza delle dichiarazioni. Di conseguenza, il contribuente può pianificare l’utilizzo delle perdite in modo strategico: ad esempio, in presenza di importanti detrazioni fiscali (come nel caso del Sismabonus), può scegliere di rimandare l’uso delle perdite per non ridurre a zero il reddito imponibile e non perdere le detrazioni.
Infine, sebbene le perdite pregresse siano determinate sulla base della storia dichiarativa, l’Agenzia delle Entrate, nei controlli automatici, continua spesso a basarsi sui dati del quadro RS dedicato alle perdite non compensate, che però ha valore solo ricognitivo, non costitutivo del diritto al riporto.