Una recente pronuncia della Cassazione offre lo spunto per tornare sul tema della deducibilità dei compensi degli amministratori. La questione è nota e l’orientamento della giurisprudenza è consolidato: in assenza di una previsione statutaria o di una preventiva delibera assembleare, i compensi pagati agli amministratori sono indeducibili per le società.
Secondo la Cassazione, il compenso pagato senza una preventiva delibera “non può in alcun modo ricondursi alla volontà dell’assemblea il che, sotto il profilo tributario, si riverbera sulla indeducibilità del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all’art. 109 TUIR: la mancanza di una delibera specifica sui compensi comporta, sul piano civilistico, la nullità dell’atto di autodeterminazione del compenso da parte degli amministratori, sul piano fiscale, la non deducibilità del compenso” (Cass. n. 5763/2021). Per la Corte, in tema di compensi agli amministratori, il criterio di cassa dovrebbe essere “conciliato” con i principi civilistici sanciti dalle Sezioni Unite in base ai quali è necessario che la determinazione del compenso sia legata a una delibera assembleare, con data antecedente all’erogazione, che ne determini l’ammontare.
La Cassazione ha ribadito il principio secondo cui l’indeducibilità del compenso in capo alla società, a fronte della tassazione dello stesso in capo all’amministratore, non integra un’ipotesi di doppia imposizione giuridica ex art. 163 del TUIR in quanto il presupposto della tassazione è diverso. Pertanto, l’amministratore non ha diritto al rimborso dell’IRPEF versata sui compensi percepiti qualora gli stessi siano stati ripresi a tassazione in capo alla società.