Il Tribunale di Catanzaro, nella sentenza del 22 dicembre scorso, ha affermato che non c’è nessun argomento che avalli la tesi secondo cui le riserve “disponibili”, che, ai sensi dell’art. 2357 comma 1 c.c., sono utilizzabili dalle spa per acquistare azioni proprie, siano solo quelle “distribuibili”.
Tra le riserve impiegabili per l’acquisto di azioni proprie, quindi, si può comprendere anche la riserva “per costi di ricerca, di sviluppo e di pubblicità”, ex art. 2426 comma 1 n. 5 c.c. ante modifiche apportate dal DLgs. 139/2015; riserva rilevante nel caso di specie, in cui si prendevano in considerazione i dati relativi al bilancio al 31 dicembre 2008. La norma, infatti, stabiliva: “fino a che l’ammortamento non è completato possono essere distribuiti dividendi solo se residuano riserve disponibili sufficienti a coprire l’ammontare dei costi non ammortizzati”; sicché detta riserva doveva essere intesa come una riserva disponibile, sebbene non distribuibile (peraltro, analoga indicazione è presente anche nell’attuale versione della disposizione codicistica).
A fronte di tali affermazioni, appare, innanzitutto, opportuno ricordare che, ai sensi del primo comma dell’art. 2357 c.c., la spa “non può acquistare azioni proprie se non nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio regolarmente approvato”.
La prima condizione da rispettare è, quindi, quantitativa ed è rappresentata dalla possibilità di utilizzare esclusivamente utili distribuibili e riserve disponibili.
Queste ultime, tendenzialmente, sono state fatte coincidere con quelle distribuibili. Tra i pochi interventi giurisprudenziali in materia, si ricorda la sentenza n. 1361/2011 della Cassazione, secondo la quale dalla delibera cha autorizza l’acquisto di azioni proprie può essere considerata anche la riserva da sovrapprezzo azioni in presenza delle condizioni di distribuibilità di cui all’art. 2431 c.c. (raggiungimento di un minimo, analogamente a quanto disposto, dall’art. 2430 c.c., per la riserva legale).
Il Tribunale di Catanzaro, ora, sottolinea come l’art. 2357 comma 1 c.c. utilizzi il concetto di distribuibilità con riferimento soltanto agli utili e non anche alle riserve. Gli utili distribuibili sono quelli non soggetti a vincoli di destinazione legali o statutari, o non destinati alla reintegrazione di riserve legali e statutarie o alla remunerazione dei promotori o dei soci fondatori.
Quanto alle riserve, alla luce delle indicazioni fornite dal documento FNC del 15 gennaio 2017, si sottolinea come la nozione di “disponibile” vada tenuta distinta da quella di “distribuibile” in base al criterio della possibilità di utilizzazione delle medesime. Le riserve “disponibili” possono essere utilizzate, tra l’altro, per l’aumento gratuito del capitale sociale, il rimborso della partecipazione in caso di recesso del socio, la copertura delle perdite (dell’esercizio e/o di esercizi precedenti) e, appunto, per la distribuzione ai soci.
La distribuzione, in pratica, rappresenta solo uno dei possibili utilizzi della riserva disponibile, essendo in un rapporto di species a genus rispetto alla disponibilità. Le riserve disponibili possono, pertanto, distinguersi in riserve distribuibili o non distribuibili, mentre le riserve indisponibili sono, in quanto tali, non distribuibili. L’indistribuibilità della riserva scaturisce da un divieto imposto dalla legge o dallo statuto. Divieto che impone di non assegnare ai soci i valori corrispondenti alle riserve iscritte in bilancio, ma destinati a rimanere nel patrimonio netto; ciò al fine di rendere tali valori disponibili per altri scopi. L’acquisto di azioni proprie può avvenire solo impiegando quella porzione del patrimonio netto che indica le risorse in eccesso, senza che si possa attingere a capitale o a riserve indisponibili.
Come precisato dalla citata sentenza della Suprema Corte (Cass. n. 1361/2011), infatti, la ratio dell’art. 2357 c.c. è quella di tutelare il capitale sociale per impedire che l’acquisto delle azioni proprie della società mascheri un’indebita restituzione dei conferimenti ai soci (come potrebbe accadere se fosse a tal fine impiegata una parte del capitale sociale formato da detti conferimenti) o che siano intaccate riserve non utilizzabili in quanto destinate (per legge o per statuto) a preservare la solidità patrimoniale dell’ente o, comunque, a scopi diversi. Ciò che occorre, perciò, è, in primo luogo, che le riserve da utilizzare per l’acquisto delle azioni effettivamente esistano e, in secondo luogo, che siano legittimamente adoperabili a questo fine, prendendo in considerazione anche le riserve disponibili seppure non distribuibili.
Peraltro, la formulazione dell’art. 2357-ter comma 3 c.c. vigente all’epoca dei fatti imponeva, a fronte dell’acquisto di azioni proprie, la costituzione e il mantenimento di una riserva pari all’importo delle azioni proprie iscritto all’attivo del bilancio indisponibile finché le azioni non fossero state trasferite o annullate, con la conseguenza che nessuna variazione sostanziale si verificava sulla consistenza del patrimonio netto.